L’articolo in commento del Sole 24 Ore del 5 agosto u.s., evidenzia gli aspetti legati al nuovo impianto normativo in materia di leasing, introdotto dalla recente legge sulla concorrenza (L. 4 agosto 2017 n. 124). Il contratto di locazione finanziaria diventa un contratto “tipico”, definito e regolamentato anche con riguardo al delicato profilo dell’inadempimento dell’utilizzatore. L’art. 136 della L. 124/2017, definisce il leasing come: “ Il contratto con il quale la banca o l’intermediario finanziario iscritto nell'albo di cui all'articolo 106 del testo unico di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, si obbliga ad acquistare o a far costruire un bene su scelta e secondo le indicazioni dell'utilizzatore, che ne assume tutti i rischi, anche di perimento, e lo fa mettere a disposizione per un dato tempo verso un determinato corrispettivo che tiene conto del prezzo di acquisto o di costruzione e della durata del contratto. Alla scadenza del contratto l'utilizzatore ha diritto di acquistare la proprietà del bene ad un prezzo prestabilito ovvero, in caso di mancato esercizio del diritto, l'obbligo di restituirlo”. La legge sulla concorrenza delinea inoltre l’ipotesi di “grave inadempimento” dell’utilizzatore e causa di risoluzione del contratto, fattispecie che ricorre quando sussista il mancato pagamento di almeno sei canoni mensili o due canoni trimestrali anche non consecutivo o un importo equivalente in caso di leasing immobiliare ovvero, per gli altri contratti di locazione finanziaria, di quattro canoni mensili anche non consecutivi o un importo equivalente. In tale circostanza, il legislatore prevede per il concedente il diritto alla restituzione del bene, e l’obbligo di corrispondere all'utilizzatore quanto ricavato dalla vendita o da altra collocazione del bene, effettuata ai valori di mercato, dedotte la somma pari all'ammontare dei canoni scaduti e non pagati fino alla data della risoluzione, dei canoni a scadere, solo in linea capitale, e del prezzo pattuito per l'esercizio dell'opzione finale di acquisto, nonché le spese anticipate per il recupero del bene, la stima e la sua conservazione per il tempo necessario alla vendita. Resta fermo nella misura residua il diritto di credito del concedente nei confronti dell'utilizzatore quando il valore realizzato con la vendita o altra collocazione del bene è inferiore all'ammontare dell'importo dovuto dall'utilizzatore a norma del periodo precedente.
Convegno specialistico per gli O.P.O. e Compro Oro
In occasione dell'entrata in vigore del recente decreto attuativo della quarta direttiva antiriciclaggio (D.Lgs. n.90/2017), e del D.Lgs. n. 92/2017 recante disposizioni in merito all'esercizio dell'attività di compro oro, l'Avv. Cristiana Cipriani, in qualità di Vice Presidente dell'associazione di categoria AssoOro, ha organizzato in data 13 luglio u.s. a Bologna, un Convegno specialistico per gli Operatori Professionali in Oro e i compro oro, soggetti destinatari degli obblighi antiriciclaggio. Nell'ambito dell'evento, caratterizzato da un taglio prevalentemente pratico, sono state analizzate le principali novità normative di interesse per le sopra menzionate categorie di operatori, in particolare, con riferimento agli obblighi di adeguata verifica della clientela/operazione/rapporto, conservazione dei documenti, invio delle segnalazioni sospette e inoltre, le tempistiche e gli adempimenti previsti per i compro oro (e per gli O.P.O. che svolgono anche se in via occasionale o secondaria l'attività di compro oro), in relazione all'obbligo di iscrizione presso l'OAM.
LA SENTENZA N. 11504/2017: IL PUNTO DI SVOLTA SUL DIRITTO ALL’ASSEGNO DIVORZILE
A seguito dello scioglimento del matrimonio civile o cessati gli effetti civili conseguenti alla trascrizione del matrimonio religioso – sulla base dell’accertamento giudiziale, passato in giudicato, che la comunione spirituale e materiale tra i coniugi non può essere mantenuta o ricostituita per l’esistenza di una della cause previste dall’art. 3 della L. n. 898/1970 (“Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio”), il rapporto matrimoniale si estingue definitivamente sul piano sia dello status personale dei coniugi, sia dei loro rapporti economico-patrimoniali e, in particolare, del reciproco dovere di assistenza morale e materiale di cui all’art. 143, co. 2, c.c.. In tale contesto, il diritto all’assegno divorzile, riconosciuto all’ex coniuge economicamente più debole, in virtù del principio “assistenziale” costituzionalmente garantito, è stato sinora determinato esclusivamente in ragione della mancanza di “mezzi adeguati” del richiedente o delle effettive possibilità “di procurarseli”, vale a dire della “indipendenza o autosufficienza economica” dello stesso. Con la sentenza n. 11504/2017, la Cassazione ha ritenuto tale orientamento non più attuale, in considerazione del fatto che un parametro di riferimento siffatto – cui rapportare il giudizio “sull’adeguatezza – inadeguatezza” dei “mezzi” dell’ex coniuge richiedente l’assegno di divorzio e sulla “possibilità-impossibilità per ragioni oggettive” dello stesso di procurarseli – vada individuato nel raggiungimento dell’indipendenza economica del richiedente e, in particolare, “se è accertato che quest’ultimo è economicamente indipendente o è effettivamente in grado di esserlo, non deve essergli riconosciuto il relativo diritto. Al riguardo, il Collegio ha preliminarmente osservato che, in coerenza con la stessa nozione di “indipendenza economica”, il relativo accertamento nella fase dell’an debeatur debba attenersi esclusivamente alla persona dell’ex coniuge richiedente l’assegno come singolo individuo, cioè senza alcun riferimento al preesistente rapporto matrimoniale. In tale fase di giudizio, i principali “indici” utili ai fini dell’accertamento della sussistenza o meno della “indipendenza economica” dell’ex coniuge richiedente l’assegno di divorzio, e, quindi, l’adeguatezza o no dei mezzi nonché la possibilità, o no “per ragioni oggettive”, dello stesso di procurarseli, debbano essere ricercati: nel possesso di redditi di qualsiasi specie; nel possesso di cespiti patrimoniali mobiliari e immobiliari, tenuto conto di tutti gli oneri lato sensu “imposti” e del costo della vita del luogo di residenza della persona che richiede l’assegno; le capacità e le possibilità effettive di lavoro personale, in relazione alla salute, all'età, al sesso ed al mercato del lavoro dipendente o autonomo; la stabile disponibilità di una casa di abitazione. Quanto al regime della prova della non “indipendenza economica” dell’ex coniuge che fa valere il diritto all'assegno di divorzio, sempre secondo i principi enucleati dai giudici della Cassazione della sentenza in esame, allo stesso spetta allegare, dedurre e dimostrare di “non avere mezzi adeguati” e di “non poterseli procurare per ragioni oggettive”. In tal modo, la Corte di merito si è nettamente discostata dall’orientamento giurisprudenziale sinora prevalso, non avendo avuto riguardo, in concreto, al criterio della conservazione del tenore di vita matrimoniale, e nel caso di specie, rigettando il ricorso della parte attrice ricorrente.
ANTIRICICLAGGIO: APPROVATO IL DECRETO
Da "Fiscal Focus" di oggi, apprendiamo che il Consiglio di Ministri, in data 24 maggio c.a., ha approvato in via definitiva il D.Lgs. di recepimento della IV Direttiva antiriciclaggio, “DIRETTIVA (UE) 2015/849 del Parlamento e del Consiglio del 20 maggio 2015, relativa alla “prevenzione dell'uso del sistema finanziario a fini di riciclaggio o finanziamento del terrorismo, che modifica il regolamento (UE) n. 648/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga la direttiva 2005/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e la direttiva 2006/70/CE della Commissione”. Diverse le modifiche apportate alla bozza di decreto, in primis la scomparsa dell’originaria sanzione per la “segnalazione tardiva” (effettuata una volta decorsi i 30 giorni dall'operazione sospetta) e l’introduzione di importanti novità per gli intermediari in tema di adeguata verifica della clientela per i quali si rimanda ad un prossimo approfondimento nella sezione “Insights” del nostro sito.
LEASING, CODIFICATE LE REGOLE PER IL GRAVE INADEMPIMENTO
Dal Sole 24 Ore del 5 maggio 2017: E’ stato approvato in prima lettura il disegno di legge sulla concorrenza e, in particolare, il contratto di leasing è per la prima volta tipizzato e oggetto di una specifica definizione. La legge annuale per il mercato e la concorrenza definisce la locazione finanziaria come “quel contratto con la quale la banca o l’intermediario finanziario iscritto nell'Albo di cui all'art. 106 del decreto legislativo 1 settembre 1993, n. 385, si obbliga ad acquistare o far costruire un bene su scelta e secondo le indicazioni dell’utilizzatore, che ne assume tutti i rischi, anche di perimento, e lo fa mettere a disposizione per un dato tempo verso un determinato corrispettivo che tiene conto del prezzo di acquisto o di costruzione e della durata del contratto. Alla scadenza del contratto l’utilizzatore ha diritto di acquistare la proprietà del bene ad un prezzo prestabilito ovvero, in caso di mancato esercizio del diritto, l’obbligo di restituirlo”. La legge de quo delinea oltremodo il profilo dell’inadempimento dell’utilizzatore, indicando le seguenti ipotesi di “grave inadempimento”: 1. Per i leasing immobiliari, il mancato pagamento di almeno sei canoni mensili o due canoni trimestrali anche non consecutivi o un importo equivalente; 2. Per gli altri contratti di locazione finanziaria, il mancato pagamento di quattro canoni mensili anche non consecutivi o un importo equivalente. In caso di risoluzione del contratto per l’inadempimento dell’utilizzatore, al concedente è poi riconosciuto il diritto alla restituzione del bene e imposto l’obbligo di corrispondere all'utilizzatore quanto ricavato dalla vendita o altra collocazione del bene, effettuata ai valori di mercato, dedotta la somma pari all'ammontare dei canoni scaduti e non pagati fino alla data della risoluzione, dei canoni a scadere, solo in linea capitale, e del prezzo pattuito per l’esercizio dell’opzione finale di acquisto, nonché delle spese anticipate per il recupero del bene, la stima e la sua conservazione per il tempo necessario alla vendita. Resta fermo nella misura residua il diritto di credito del concedente nei confronti dell’utilizzatore quando il valore realizzato con la vendita o altra collocazione del bene è inferiore all'ammontare dell’importo dovuto dall'utilizzatore a norma del periodo precedente. Resta da vedere se nella stesura definitiva le specifiche sopra citate saranno confermate oppure oggetto di ulteriore rielaborazione.
PRIVACY, INCENTIVATA LA CERTIFICAZIONE IN VIA AUTONOMA
Il Sole 24 Ore del 5 aprile 2017 dedica un articolo relativo alle nuove regole in tema di riservatezza, al momento contenute nel regolamento UE 2016/679, che dovrà essere oggetto di recepimento entro il 2018. Sono previsti procedimenti di certificazione della protezione dei dati “allo scopo di dimostrare la conformità al … regolamento stesso dei trattamenti effettuati dai titolari del trattamento e dai responsabili”. La certificazione, su base volontaria e accessibile a mezzo di una procedura trasparente, svolgerà un’ importante di responsabilizzazione dell’impresa che vi farà ricorso anche se non avrà carattere vincolante né per il Garante né per l’autorità giudiziaria, che resteranno libere di valutarne l’effettiva conformità. L’accreditamento dei soggetti e la certificazione potranno essere esaminati e valutanti sia dagli Organismi di certificazione nazionale, che dal Garante stesso. In tale prospettiva si colloca il regolamento 765/2008 che definisce i principi generali in materia e individua l’organismo nazionale di accreditamento quale ente maggiormente titolato a svolgere la funzione di accreditamento degli organismi di certificazione. Della stessa linea la norma europea in commento che obbliga gli organismi di accreditamento a istituire e gestire “strutture atte a garantire la partecipazione effettiva ed equilibrata di tutte le parti interessate” di tipo gerarchico-piramidale composta da entità eterogenee autonome ed indipendenti. Proprio i caratteri dell’indipendenza e della terzietà di ciascuno di tali soggetti, costituirebbero il presupposto essenziale per una corretta affidabilità del sistema anche se l’equilibrio sinora garantito dal regolamento 765/2008 potrebbe, in vista delle preannunciate modifiche, comportare rischi di impraticabilità operativa.
ANTIRICICLAGGIO, CONTESTATE LE SANZIONI AVVOCATI, COMMERCIALISTI E NOTAI: per le violazioni formali importi da ridurre
Le nuove sanzioni antiriciclaggio proposte dal Governo con schema di decreto legislativo del 24 febbraio 2017 (che recepisce la quarta direttiva comunitaria) non funzionano. Con un documento unitario, avvocati, commercialisti e notai, in occasione della prima delle due giornate di audizioni tenute presso le commissioni di Giustizia e Finanze della Camera, hanno sottolineato la necessità di rivedere gli importi minimi previsti per le violazioni meramente formali ed evidenziato l’esigenza di un’estensione generalizzata dell’oblazione, limitato nel testo consegnato al Parlamento soltanto ad alcune sanzioni. Dello stesso avviso il direttore dell’UIF Claudio Clemente che tornato sulle sanzioni ha chiesto una “calibrazione della risposta punitiva” per evitare che “il sistema sia percepito come ingiusto perché colpisce pesantemente violazioni formali e prive di reale offensività”. La notizia riportata da “Il Sole 24 Ore” del 28 marzo 2017 mette in luce problematiche ed aspetti legati ad una proposta legislativa che individua un apparato sanzionatorio inadeguato e sproporzionato e non solo; anche in tema di adeguata verifica della clientela sono state sollevate perplessità. In particolare, i professionisti del settore giuridico-economico hanno fatto espressa richiesta della “reintroduzione dell’esonero dagli obblighi antiriciclaggio per il collegio sindacale con il solo controllo di legalità”, previsto invece dalla normativa vigente.
IL BANCO DEI PEGNI ULTIMA SPIAGGIA DELL’ITALIA IN CRISI
E’ del Sole 24 Ore del 20 febbraio 2017 l’inchiesta relativa al giro d’affari del settore del pegno che sfiora allo stato attuale gli 800 milioni di euro. Il dato rilevante che emerge da una prima analisi del settore, da un lato evidenzia una crescita esponenziale, dall'altro individua i beni che vanno a costituire oggetto del pegno: oro gioielli e orologi di valore. A differenza del prestito personale che viene concesso in base al merito di credito del richiedente, il finanziamento su pegno è basato esclusivamente sul valore dell’oggetto che viene lasciato in garanzia. La polizza al portatore emessa dall'ente creditizio, permetterà al cliente di riscattare il bene impegnato al termine del periodo stabilito. Il prestito può arrivare fino a quattro quinti del valore dell’oggetto del pegno ed è determinato con una perizia da parte della banca o dell’agenzia del pegno. Il finanziamento, a cui si applica un tasso d’interesse che può variare dal 10 al 16 per cento, può avere una durata dai sei mesi ai tre anni, rinnovabili fino ad altre cinque volte. Al termine del periodo concordato, il cliente può decidere di riscattare il bene posto in pegno, o lasciarlo all'ente creditizio che lo destinerà all'asta. Se dalla vendita il ricavato ottenuto sarà superiore al finanziamento erogato, al cliente verrà data la differenza, somma che dovrà riscuotere entro cinque anni. Dall'articolo in commento emerge un altro dato significativo: solo tredici banche concedono a livello nazionale prestito su pegno. Pertanto, questa nicchia di mercato costituisce oggi una preziosa strada percorribile da quei soggetti che, tramite specifica (e più semplificata) richiesta autorizzativa a Banca d'Italia potrebbero trovare, incoraggiati da adempimenti strutturali più snelli, sviluppi operativi ed economici vantaggiosi.
RICICLAGGIO, IN ARRIVO LE NUOVE SANZIONI (Il Sole 24 Ore del 31 dicembre 2016)
Sul sito del Ministero dell’Economia e delle Finanze è disponibile ai fini della consultazione la bozza di Decreto Legislativo di recepimento della IV direttiva antiriciclaggio. In punto di sanzioni penali, l’art. 5 del decreto in commento, rubricato “Modifiche al Titolo V del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231”, delinea un nuovo quadro sanzionatorio e fattispecie riconducibili alle condotte di grave violazione degli obblighi di adeguata verifica della clientela, di segnalazione sospetta e conservazione dei documenti. Nel dettaglio, assumono rilievo penale: - il soggetto che tenuto all'osservanza degli obblighi di adeguata verifica, falsifica i dati e le informazioni relative al cliente, al titolare effettivo, all'esecutore, allo scopo e alla natura del rapporto continuativo o della prestazione professionale e all'operazione è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da 10.000 euro a 30.000 euro; - Chiunque, essendo tenuto all'osservanza degli obblighi di conservazione, acquisisce dati falsi o informazioni non veritiere sul cliente, sul titolare effettivo, sull'esecutore, sullo scopo e sulla natura del rapporto continuativo o della prestazione professionale e sull'operazione ovvero si avvale di mezzi fraudolenti al fine di pregiudicare la corretta conservazione dei predetti dati e informazioni è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da 10.000 euro a 30.000 euro. 3. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, il cliente che essendo obbligato ai sensi del presente decreto a fornire i dati e le informazioni necessarie ai fini dell’adeguata verifica della clientela, fornisce dati falsi o informazioni non veritiere, è punito con la reclusione da tre mesi a 1 anno e con la multa da 1.500 euro a 10.000 euro. 4. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, essendovi tenuto, viola il divieto di comunicazione di cui agli articoli 39 comma 1 e 41, comma 3 è punito con l’arresto da sei mesi a un anno e con l’ammenda da 5.000 euro a 30.000 euro. 5. Chiunque al fine di trarne profitto per sé o per altri, indebitamente utilizza, non essendone titolare, carte di credito o di pagamento, ovvero qualsiasi altro documento analogo che abiliti al prelievo di denaro contante o all'acquisto di beni o alla prestazione di servizi, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da 310 euro a 1.550 euro. Alla stessa pena soggiace chi, al fine di trarne profitto per sé o per altri, falsifica o altera carte di credito o di pagamento o qualsiasi altro documento analogo che abiliti al prelievo di denaro contante o all'acquisto di beni o alla prestazione di servizi, ovvero possiede, cede o acquisisce tali carte o documenti di provenienza illecita o comunque falsificati o alterati, nonché ordini di pagamento prodotti con essi.
RICICLAGGIO, IN ARRIVO LE NUOVE SANZIONI PER TUTTI I SOGGETTI DESTINATARI DEGLI OBBLIGHI (da il Sole 24 Ore del 1 dicembre 2016)
Sul sito del Ministero dell’Economia e delle Finanze è disponibile ai fini della consultazione la bozza di Decreto Legislativo di recepimento della IV direttiva antiriciclaggio. In punto di sanzioni penali, l’art. 5 del decreto in commento, rubricato “Modifiche al Titolo V del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231”, delinea un nuovo quadro sanzionatorio e fattispecie riconducibili alle condotte di grave violazione degli obblighi di adeguata verifica della clientela, di segnalazione sospetta e conservazione dei documenti. Nel dettaglio, compie una condotta illecita: 1) il soggetto che tenuto all’osservanza degli obblighi di adeguata verifica, falsifica i dati e le informazioni relative al cliente, al titolare effettivo, all’esecutore, allo scopo e alla natura del rapporto continuativo o della prestazione professionale e all'operazione (punibile con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da 10.000 euro a 30.000 euro); 2) Il soggetto che, essendo tenuto all'osservanza degli obblighi di conservazione, acquisisce dati falsi o informazioni non veritiere sul cliente, sul titolare effettivo, sull'esecutore, sullo scopo e sulla natura del rapporto continuativo o della prestazione professionale e sull'operazione ovvero si avvale di mezzi fraudolenti al fine di pregiudicare la corretta conservazione dei predetti dati e informazioni (punibile con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da 10.000 euro a 30.000 euro); 3) salvo che il fatto costituisca più grave reato, il cliente che essendo obbligato ai sensi del presente decreto a fornire i dati e le informazioni necessarie ai fini dell’adeguata verifica della clientela, fornisce dati falsi o informazioni non veritiere (punibile con la reclusione da tre mesi a 1 anno e con la multa da 1.500 euro a 10.000 euro); 4) Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, essendovi tenuto, viola il divieto di comunicazione di cui agli articoli 39 comma 1 e 41, comma 3 (punibile con l’arresto da sei mesi a un anno e con l’ammenda da 5.000 euro a 30.000 euro); 5. Chiunque al fine di trarne profitto per sé o per altri, indebitamente utilizza, non essendone titolare, carte di credito o di pagamento, ovvero qualsiasi altro documento analogo che abiliti al prelievo di denaro contante o all’acquisto di beni o alla prestazione di servizi (punibile con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da 310 euro a 1.550 euro. Alla stessa pena soggiace chi, al fine di trarne profitto per sé o per altri, falsifica o altera carte di credito o di pagamento o qualsiasi altro documento analogo che abiliti al prelievo di denaro contante o all'acquisto di beni o alla prestazione di servizi, ovvero possiede, cede o acquisisce tali carte o documenti di provenienza illecita o comunque falsificati o alterati, nonché ordini di pagamento prodotti con essi). La bozza di decreto contiene inoltre le sanzioni amministrative graduate per entità e tipologia tra i destinatari degli obblighi antiriciclaggio e introduce il principio secondo cui “nessuno può essere sanzionato per un fatto che alla data di entrata in vigore del presente decreto non costituisce più illecito”. Pertanto, spetterà all'interprete e agli operatori rivalutare ogni singola fattispecie pregressa al fine di ricondurre la punibilità del fatto illecito all'ambito del diritto penale o del diritto amministrativo.