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Comunicato Stampa 28 febbraio 2020: Banca d’Italia istituisce due nuovi Dipartimenti

Con il Comunicato Stampa del 28 febbraio u.s., Banca d’Italia annuncia l’istituzione dei Dipartimenti della clientela ed educazione finanziaria e Circolazione monetaria e pagamenti al dettaglio.

In particolare, il Dipartimento Tutela della clientela ed educazione finanziaria affidato a Magda Bianco, attuale Capo del Servizio Tutela dei clienti e antiriciclaggio, sarà articolato in tre Servizi: Vigilanza sul comportamento degli intermediari, Tutela individuale dei consumatori, Educazione finanziaria. 

Il Dipartimento, che sarà operativo a partire dal prossimo giugno, vigilerà su trasparenza e correttezza dei comportamenti degli intermediari bancari e finanziari, rafforzerà gli strumenti di protezione individuale e accrescerà il livello di consapevolezza finanziaria della popolazione.

Per ulteriori approfondimenti, si invita l’utente a consultare il Comunicato Stampa disponibile nella sezione “Operatori finanziari e non”.

L’estinzione anticipata del finanziamento da parte del consumatore: la sentenza Lexitor

Nella vicenda processuale in esame (causa C – 383/18), nota come sentenza “Lexitor”, il Giudice del Tribunale di Lublino ha chiesto alla Corte di Giustizia Europea di fornire chiarimenti in merito all'interpretazione dell’art. 16, par. 1,rubricato “Rimborso anticipato”[1], della Direttiva 2008/48/CE, relativa ai contratti di credito ai consumatori e, in particolare, di chiarire se tale disposizione nel prevedere che “Il consumatore ha diritto di adempiere in qualsiasi momento, in tutto o in parte, agli obblighi che derivano dal contratto di credito. In tal caso, egli ha diritto ad una riduzione del costo totale del credito, che comprende gli interessi dovuti per la restante durata del contratto”, includa tutti i costi del credito, compresi quelli non dipendenti dalla durata del rapporto.

La Corte di Giustizia Europea, dopo avere rammentato il dispositivo di cui all'art. 3, lettera g. della Direttiva 2008/48 che definisce la nozione di “costo totale del credito per il consumatore” comprendendovi “gli interessi, le commissioni, le imposte e tutte le altre spese che il consumatore deve pagare in relazione al contratto di credito e di cui il creditore è a conoscenza, escluse le spese notarili .. (omissis)”, si è soffermata sul dettato normativo di cui all'art. 16, par. 1, della Direttiva suddetta, rilevando come la menzione della “restante durata del contratto” possa essere interpretata “tanto nel senso che essa significa che i costi interessati dalla riduzione del costo totale del credito sono limitati a quelli che dipendono oggettivamente dalla durata del contratto oppure a quelli che sono presentati dal soggetto concedente il credito come riferiti ad una fase particolare della conclusione o dell’esecuzione del contratto, quanto nel senso che essa indica che il metodo di calcolo che deve essere utilizzato al fine di procedere a tale riduzione consiste nel prendere in considerazione la totalità dei costi sopportati dal consumatore e nel ridurne poi l’importo in proporzione alla durata residua del contratto”. Ciò premesso, la Corte ha dato un’interpretazione “logica” della disposizione di tipo estensivo, mirata a garantire un’elevata protezione del consumatore. D’altro canto, questo sistema di protezione è fondato sull'idea secondo cui il consumatore si trova in una situazione d’inferiorità rispetto all'altra parte contraente professionale per quanto riguarda sia il potere di negoziazione sia il livello d’informazione. In questa direzione, la Corte ha inoltre considerato per l’Intermediario l’opportunità di reinvestire speculativamente la provvista percepita in sede di estinzione e di includere nella fatturazione dei costi un certo margine di profitto.

Alla luce delle considerazioni d’insieme emerse, la risposta della Corte di Giustizia Europea è stata pertanto netta: “ L’art. 16, paragrafo 1, della direttiva 2008/48, deve essere interpretato nel senso che il diritto ad una riduzione del costo totale del credito in caso di rimborso anticipato include anche i costi che non dipendono dalla durata del contratto”.

Per prendere visione della sentenza Lexitor, si invita l’utente a consultare la seguente pagina web, cliccando sul sottostante link

https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:62018CJ0383&rid=1

[1] Articolo 16 Rimborso anticipato 1. Il consumatore ha il diritto di adempiere in qualsiasi momento, in tutto o in parte, agli obblighi che gli derivano dal contratto di credito. In tal caso, egli ha diritto ad una riduzione del costo totale del credito, che comprende gli interessi e i costi dovuti per la restante durata del contratto. 2. In caso di rimborso anticipato del credito, il creditore ha diritto ad un indennizzo equo ed oggettivamente giustificato per eventuali costi direttamente collegati al rimborso anticipato del credito, sempre che il rimborso anticipato abbia luogo in un periodo per il quale il tasso debitore è fisso. L’indennizzo non può superare l’1 % dell’importo del credito rimborsato in anticipo, se il periodo che intercorre tra il rimborso anticipato e lo scioglimento previsto dal contratto di credito è superiore a un anno. Se il periodo non è superiore a un anno, l’indennizzo non può superare lo 0,5 % dell’importo del credito rimborsato in anticipo. 3. Non può essere preteso nessun indennizzo per il rimborso anticipato: a) se il rimborso è stato effettuato in esecuzione di un contratto d’assicurazione destinato a garantire il rimborso del credito; b) in caso di concessione di scoperto; c) se il rimborso ha luogo in un periodo per il quale il tasso debitore non è fisso. 4. Gli Stati membri possono prevedere che: a) il creditore possa esigere detto indennizzo soltanto a condizione che l’importo del rimborso anticipato superi la soglia stabilita dalla legislazione nazionale. Tale soglia non supera l’importo di 10 000 EUR in dodici mesi; b) il creditore può eccezionalmente pretendere un indennizzo maggiore se è in grado di dimostrare che la perdita subita a causa del rimborso anticipato supera l’importo determinato ai sensi del paragrafo 2. Se l’indennizzo richiesto dal creditore supera la perdita da questi effettivamente subita il consumatore può esigere una corrispondente riduzione. In tal caso la perdita consiste nella differenza tra il tasso di interesse inizialmente concordato e il tasso di interesse al quale il creditore può prestare la somma rimborsata anticipatamente sul mercato al momento del rimborso anticipato e tiene conto dell’impatto del rimborso anticipato sui costi amministrativi. 5. L’indennizzo non supera l’ammontare degli interessi che il consumatore avrebbe pagato durante il periodo che intercorre tra il rimborso anticipato e la data concordata di scioglimento del contratto di credito.

 

La decisione del Collegio di coordinamento Abf in merito al caso “Lexitor”

Il Collegio dell'Arbitro Bancario Finanziario, con la decisione 26525 dell'11 dicembre 2019, a poche settimane di distanza dalla sentenza del Tribunale di Napoli, II sezione Civile, n. 10489/2019 (che si è espressa, per la prima volta sulla Lexitor, peraltro allontanandosi da quanto stabilito dalla Corte di Giustizia Europea), recepisce quanto indicato da Banca d'Italia con la Comunicazione del 04 dicembre 2019, riconoscendo –in caso di rimborso anticipato del finanziamento- una parziale restituzione al consumatore dei costi ed oneri iniziali, secondo un criterio proporzionale rispetto alla durata. In buona sostanza, la decisione del Collegio di coordinamento Abf smentisce il ragionamento del Tribunale partenopeo, privilegiando un'interpretazione conforme a quanto stabilito dalla Corte di Giustizia Europea con la sentenza dell’11 Settembre scorso. L'Abf si è pronunciata in merito alle possibili conseguenze applicative della decisione della CGUE, riguardo alla rimborsabilità (anche) dei costi up front e, più in generale, al criterio di rimborsabilità degli oneri commissionali, up front e recurring, nei casi di estinzione anticipata del finanziamento da parte del consumatore.  Su questo punto, l'Abf ha preminentemente indicato i possibili effetti pratici sui ricorsi già decisi o ancora pendenti stabilendo che: "per i ricorsi pendenti nei quali il cliente abbia ... (omissis) chiesto il rimborso di costi up front, la controversia va decisa alla luce della sentenza della CGUE, sempre che la medesima richiesta sia stata ritualmente formulata anche nel reclamo, in ragione della nota regola di necessaria corrispondenza tra il ricorso e il reclamo .. (omissis). Per i ricorsi già decisi in sede Abf vale la regola del ne bis in idem". Pertanto " se la decisione di un Collegio Abf non può essere modificata, non può per ciò stesso ammettersi la proposizione di un nuovo ricorso che tenda a modificarla".  In considerazione di quanto sinora esposto, il Collegio di Coordinamento ha enunciato il seguente principio di diritto: " A seguito della sentenza 11 settembre 2019 della Corte di Giustizia Europea, immediatamente applicabile ai ricorsi non ancora decisi, l'art. 125 sexies TUB deve essere interpretato nel senso che, in caso di estinzione anticipata del finanziamento, il consumatore ha diritto alla riduzione di tutte le componenti del costo totale del credito, compresi i costi up front”. E ancora, che “Il criterio applicabile per la riduzione dei costi istantanei, in mancanza di una diversa previsione pattizia che sia comunque basata su un principio di proporzionalità, deve essere determinato in via integrativa dal Collegio decidente secondo equità, mentre per i costi recurring e gli oneri assicurativi continuano ad applicarsi gli orientamenti consolidati dell'Abf".

Per un approfondimento dell'argomento trattato, lo Studio Legale Cipriani invita l'utente ad un'attenta lettura delle pagine dedicate nella sezione del sito "Approfondimenti per gli Intermediari Finanziari".

RESPONSABILITÀ PER LE IMPRESE EX DLGS. 231/2001: CONTO SANZIONATORIO FINO A 774.500 EURO PER TUTTI I REATI TRIBUTARI

Come riportato da “Italia Oggi” del 3 Dicembre u.s., le integrazioni e le modifiche apportate al D.Lgs. 231/2001, conseguenti alle innovazioni addotte dalla Commissione Finanze alla Camera in sede di conversione del decreto fiscale (dl 124/2019), avranno un notevole impatto sulla vita delle società. Difatti, la proposta emendativa, volta a estendere la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche a ogni ipotesi di delitto tributario previsto e punito dal decreto legislativo, colpirà gli enti laddove uno degli illeciti penali tassativamente selezionati dal legislatore sia stato commesso, nell'interesse o a vantaggio della società, da soggetti apicali, ovvero a seguito dell’omissione di controlli da parte dei vertici sui subordinati.

Restano salvi i reati di dichiarazione infedele (di cui all'art. 4), di omessa dichiarazione (di cui all'art. 5), di omesso versamento mediante indebita compensazione (di cui all'art. 10-bis e 10-ter), di omesso versamento mediante indebita compensazione (di cui all'art. 10-quater del D.Lgs. n. 74/2000), in quanto reati meno gravi giacché connotati dall'assenza di condotte fraudolente.  D’altra parte, l’emendamento in esame prevede per tali illeciti una cornice edittale più contenuta rispetto al quadro delineato dal decreto fiscale (dl 124/2019).

Proseguendo nella considerazione del D.Lgs. 231/2001, così come integrato dal dl 124/2019, esso impatterà sugli enti anche qualora il loro legale rappresentante, agendo a loro vantaggio, emetta fatture per operazioni inesistenti (reato di cui all'art. 8, D.Lgs. n. 74/2000), occulti o distrugga le scritture contabili al fine di evadere le imposte (art. 10), alieni o simultaneamente compia altri atti fraudolenti idonei a rendere anche solo parzialmente inefficace la procedura di riscossione coattiva da parte dell’erario (ex art. 11). Per tali fattispecie , la sanzione prevista varia, nel suo massimo, da 400 a 500 quote a seconda del reato fiscale presupposto. In considerazione del fatto che l’importo di una quota è compreso tra un valore minio di 258 euro e un massimo di 1.549 euro (determinato sulla base delle condizioni economiche e patrimoniali della persona giuridica), la sanzione pecuniaria per le imprese potrà dunque ammontare fino a 774.500 euro.

GDPR: verificata dal Garante la conformità del Codice deontologico per gli Avvocati e i soggetti che svolgono attività di investigazione privata. Le “Regole deontologiche” in corso di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale

Il Garante della Privacy, verificata la conformità al Regolamento GDPR delle disposizioni del “Codice di deontologia e di buona condotta per il trattamento dei dati personali effettuato per svolgere investigazioni difensive o per fare valere o difendere un diritto in sede giudiziaria”, ai sensi dell’art. 20, comma 4, del D.Lgs. n. 101/2018, ha emanato il Provvedimento n. 512 del 19 dicembre 2018, in corso di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, recante regole deontologiche relative ai trattamenti di dati personali effettuati per svolgere investigazioni difensive o per fare valere o difendere un diritto in sede giudiziaria.
Destinatari delle nuove disposizioni sono gli avvocati (o praticanti avvocati) iscritti ad albi territoriali o ai relativi registri, sezioni ed elenchi, i quali esercitino l'attività in forma individuale, associata o societaria svolgendo, anche su mandato, un'attività in sede giurisdizionale o di consulenza o di assistenza stragiudiziale, anche avvalendosi di collaboratori, dipendenti o ausiliari, nonché da avvocati stranieri esercenti legalmente la professione sul territorio dello Stato; e i soggetti che, sulla base di uno specifico incarico anche da parte di un difensore, svolgano in conformità alla legge attività di investigazione privata (art. 134 r.d. 18 giugno 1931, n. 773; art. 222 norme di coordinamento del c.p.p.).
Tra le principali novità contenute nel Provvedimento de quo c'è da segnalare la possibilità per l’avvocato di organizzare il trattamento anche non automatizzato dei dati personali secondo le modalità che risultino più adeguate, caso per caso, volte a favorire in concreto l’effettivo rispetto dei diritti, delle libertà e delle dignità degli interessati, applicando i principi di finalità, proporzionalità e minimizzazione dei dati. Nell'ambito delle adeguate istruzioni da impartire per iscritto alle persone autorizzate al trattamento dei dati, inoltre, il professionista destinatario sarà tenuto a formulare concrete indicazioni riguardo alle modalità che tali soggetti devono osservare, a seconda del loro ruolo di sostituto processuale, di praticante avvocato con o senza abilitazione al patrocinio, di consulente tecnico di parte, perito, investigatore privato o altro ausiliario che non rivesta la qualità di autonomo titolare del trattamento, nonché di tirocinante, stagista o di persona addetta a compiti di collaborazione amministrativa.

Privacy, due vie per gli studi (da “ItaliaOggi” del 27/09/2018)

Professionisti titolari o responsabili del trattamento dati.

Il 26 settembre u.s. si è svolta a Milano la giornata conclusiva del Forum nazionale dei commercialisti ed esperti contabili. In tale occasione, la tavola rotonda dedicata agi adempimenti "privacy" ha fornito importanti risposte allo stato dell'arte, che potranno riguardare anche il mondo delle professioni. In particolare, è emersa per il professionista la possibilità di essere, nel rapporto con il cliente, un titolare del trattamento oppure un responsabile del trattamento. Si rammenta, a tal proposito, che i più importanti temi riguardanti l'attività svolta dai professionisti contabili sono tre: se, nei confronti dei loro clienti, sono titolari o responsabili del trattamento; se devono nominare un responsabile della protezione dei dati dai loro clienti; se possono essere nominati responsabili della protezione dai loro clienti. Nell'occasione, è intervenuta Giovanna Bianchi Clerici, componente del garante per la protezione dei dati personali, che ha delineato due possibilità: il professionista contabile è titolare del trattamento nei rapporti con un cliente persona fisica, mentre è responsabile esterno se il cliente è una persona giuridica. Gli esperti sull'applicazione del regolamento Gdpr per i lavoratori autonomi hanno poi delineato due ipotesi: se il commercialista svolge attività per conto del cliente (titolare) e non ha autonoma capacità decisionale sulle informazioni trasmesse (ad esempio gestione libri paga), deve essere nominato responsabile ai sensi dell'articolo 28 del Regolamento (UE) 2016/679. Diversamente, se il professionista ha, in relazione alle attività concretamente da svolgere, ampio margine di manovra all'utilizzo dei dati personali (come, per esempio, quando deve difendere un cliente innanzi alla Commissione tributaria) non può essere nominato, poiché agisce come autonomo titolare. Trattasi di una linea interpretativa che risale alle linee guida dei Garanti europei (WP29) n. 1/2010, che mantiene la sua validità. In ottemperanza all'articolo 30 del Gdpr, la nomina a responsabile implica necessariamente la sottoscrizione di un apposito contratto e la stesura, da parte del professionista, del registro del trattamento del responsabile esterno. Quanto invece all'obbligo di nomina di un Dpo (responsabile della protezione dei dati), il garante della privacy ha dato un'indicazione di massima per cui lo studio singolo non deve nominare il Dpo. Più precisamente, è il dato dimensionale a fungere da criterio distintivo: se lo studio professionale lavora con persone giuridiche, non deve essere nominato un Dpo; al contrario, se lo studio lavora con persone fisiche, allora bisogna valutare la necessità di nominare un Dpo.








LA PRIVACY CONDONA LE SANZIONI “VECCHIE” ENTRO IL 18 DICEMBRE (DA “IL SOLE 24 ORE” DEL 17 SETTEMBRE 2018)

Il 19 settembre entra in vigore il D.Lgs. n. 101/2018 “Disposizioni per l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (regolamento generale dei dati)”. A partire da tale data, tutti gli operatori pubblici e privati avranno a disposizione gli elementi necessari ai fini del corretto adempimento agli obblighi di cui al Regolamento Privacy già pienamente efficace dal 25 maggio 2018. In particolare, in ambito sanzionatorio, il termine per usufruire del “condono” - ovvero per effettuare il pagamento in misura ridotta (due quinti del minimo edittale) delle sanzioni che, al 25 maggio 2018 (data di operatività del Gdpr), non erano state ancora definite con ordinanza-ingiunzione -  è fissato per il 18 dicembre p.v.. Diversamente, per effettuare il pagamento nel caso non si sia aderito al “condono”, ci sarà tempo fino al 16 febbraio 2019.

Il termine del 18 dicembre 2018 è fissato anche per l’autorità giudiziaria al fine di trasmettere a quella amministrativa competente, gli atti dei procedimenti penali relativi ai reati trasformati in illeciti amministrativi. Nei prossimi mesi e sempre entro la data sopra citata, infine, il Garante verificherà  la compatibilità con il Gdpr delle autorizzazioni generali ed eventualmente le aggiornerà, per poi sottoporle a consultazione pubblica. Tali autorizzazioni dovranno essere adottate entro 60 giorni dalla chiusura della consultazione e pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale; da quel momento cesseranno di produrre effetti le vecchie autorizzazioni generali.

NUOVA PRIVACY: IL FUTURO E’ GIA’ QUI

Il 21 marzo u. s. il Consiglio dei Ministri, su proposta del Presidente Paolo Gentiloni e del Ministro della giustizia Andrea Orlando, ha approvato, in esame preliminare, un decreto legislativo che, in attuazione dell’art. 13 della legge di delegazione europea 2016/2017 (L. n. 163/2017), introduce disposizioni per l’allineamento della normativa nazionale alle disposizioni contenute nel Regolamento Privacy (UE) 2016/679, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati, e che abroga la direttiva 95/46/CE (Regolamento generale sulla protezione dei dati). A far data dal 25 maggio 2018, data in cui le disposizioni di diritto europeo acquisteranno efficacia, il vigente Codice in materia di protezione dei dati personali (D.Lgs. n. 196/2003), sarà abrogato; la nuova disciplina in materia sarà rappresentata principalmente dalle disposizioni del Regolamento (UE) 2016/679 immediatamente applicabili, e da quelle recate dallo schema di decreto in commento, volte ad armonizzare l’ordinamento interno al nuovo quadro normativo dell’Unione Europea in tema di tutela della privacy.

“FAVOR REI” PER L’ANTIRICICLAGGIO (Da “Il Sole 24 Ore” dell’8 dicembre 2017)

L’articolo in commento delinea il nuovo quadro sanzionatorio in materia di antiriciclaggio alla luce del recepimento da parte del Comando Generale della Guardia di Finanza, della recente direttiva del Ministero dell’Economia delle Finanze – Dipartimento del Tesoro -  n. 1/2018 del 27/11/2017, in relazione ala disciplina applicabile in caso di accertamento delle violazioni di cui al D.Lgs. n. 231/2007, così come modificato dal D.Lgs. n. 90/2017. In particolare, la circolare in commento pone l’accento sull'importanza di ricostruire “i comportamenti illeciti sui quali si fondono le irregolarità accertate, nonché gli elementi di fatto a supporto della configurazione della condotta sanzionata nell'ipotesi di “base” ovvero in quella “qualificata” o anche, limitatamente ai casi di inosservanza degli obblighi di adeguata verifica e conservazione di “minor gravità”. Il documento del Tesoro (prot. n. 54071) accluso nella Circolare, evidenzia tre diverse fattispecie di reato: l’omessa segnalazione di operazione sospette, l’inadempimento degli obblighi di adeguata verifica (per le quali è prevista l’applicazione del principio del “favor rei” se le violazioni risalgono a prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 90/2017), e l’inadempimento degli obblighi di conservazione (reato introdotto con il D.Lgs. n. 90/2017 e quindi soggetto solo alla nuova disciplina). D’altro canto, la Guardia di Finanza precisa che per le violazioni poste in essere prima del 4 luglio 2017, data dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 90/2017, sarà comunque l’amministrazione “procedente” a determinare, nel caso concreto, la disciplina applicabile in “ossequio al principio” del “più favorevole”, tendendo conto del regime sanzionatorio previsto prima e dopo l’introduzione della nuova normativa. Per l’inadempimento degli obblighi commessi, invece, successivamente all'entrata in vigore del Decreto sopra menzionato, troveranno applicazione solo le nuove disposizioni sanzionatorie.

VALIDI I TASSI DIVENTATI USURARI ( Da Il Sole 24 Ore del 22/10/17)

Con la sentenza del 19 ottobre 2017, n. 24675, le Sezioni Unite della Cassazione si sono espresse in merito al delicato tema dell’usura sopravvenuta. Tale meccanismo si realizza quando il tasso di interesse previsto dal contratto di finanziamento o di mutuo al momento della stipula, supera in un periodo successivo il tasso soglia di usura così come definito dalla legge n. 108/1996. Sul punto si erano sinora delineate due indirizzi giurisprudenziali differenti: il primo, a cui si era unito in un secondo momento anche l’ABF con soluzioni estranee alla tradizione, stabiliva la nullità delle clausole contrattuali e conseguente sostituzione del tasso usurario con il tasso soglia ovvero, seppure in sporadici casi, l’azzeramento del tasso da applicare; il secondo, riteneva in caso di superamento del tasso-soglia nel corso del finanziamento, non configurabile l’usura sopravvenuta per i contratti conclusi in data anteriore a quella dell’entrata in vigore della L. 108/96. Ed è proprio in quest’ultimo senso, che le Sezioni Unite intervenute a risolvere suddetto contrasto, hanno enucleato il principio in base al quale “allorché il tasso dell’interesse concordato tra mutuante e mutuatario superi, durante lo svolgimento del rapporto, il limite dell’usura come definito dalla legge n. 108/1996, non si verifica la nullità o l’inefficacia della clausola contrattuale di determinazione del  tasso degli interessi stipulata anteriormente all'entrata in vigore della predetta legge, o della clausola stipulata successivamente  per un tasso non eccedente tale soglia, quale risultante al momento della stipula; né la pretesa del mutuante di riscuotere gli interessi secondo il tasso validamente concordato può essere qualificata, per il solo fatto del sopraggiunto superamento di tale soglia, contraria al dovere di buona fede nell'esecuzione del contatto”. Pertanto, sebbene il presente orientamento delle Sezioni Unite non escluda la possibilità che la questione possa essere sottoposta nuovamente alla Consulta sotto il profilo della legittimità costituzionale, ad oggi il mutuante non potrà pretendere dall'intermediario la restituzione delle somme versate in eccedenza.